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    Tre storie di Social Epic Fail

    Tre storie di Social Epic Fail

    Tempo di lettura: 3 minuti

    Oggi come oggi nessuna azienda può permettersi di non fare i conti con la propria immagine, soprattutto da quando la presenza su internet e sui social è diventata praticamente obbligatoria per qualunque realtà lavorativa attiva sul mercato. Sia che ce ne si occupi con un ufficio interno all’organico, sia che la gestione venga affidata ad agenzie esterne, è sempre necessario stare attenti alle proprie mosse sul web e in particolare sui social network: non sono pochi, infatti, i casi in cui i tentativi di pubblicizzare un’azienda sono diventati dei veri e propri boomerang, che hanno trasformato il messaggio lanciato agli utenti in un vero e proprio danno d’immagine.

    Clamoroso fu il caso di Groupalia nel 2012 su Twitter: mentre il terremoto ancora non dava tregua all’Emilia Romagna e l’hashtag #terremoto veniva utilizzato per parlare della notizia, fu proprio il noto sito di coupon a cadere in un epic fail clamoroso, soprattutto perché tacciato di insensibilità.
    Paura del #terremoto? Molliamo tutto e scappiamo a Santo Domingo!” è il tweet incriminato, a cui seguirono accese polemiche su tutto il web e infine le scuse del Country Manager dell’Italia, che parlò di “gesto irresponsabile”, dettato da “superficialità e inesperienza”.

    Di pochi mesi fa è invece lo scivolone dell’azienda dolciaria Melegatti, che nel novembre 2015 ha pubblicato sui social un’immagine con un messaggio ritenuto omofobo da diverse parti. Un uomo e una donna sono sotto le coperte e di loro si vedono solo le gambe sullo sfondo e le mani in primo piano, a reggere due brioches davanti a due tazze. Fino a qui ancora nessun danno: è lo slogan “Ama il tuo prossimo come te stesso… basta che sia figo e dell’altro sesso!” a scatenare il putiferio sui social. Le conseguenze portano ad un secondo epic fail quando la Melegatti si scusa con un messaggio in cui si dà la colpa all’agenzia esterna (che avrebbe pubblicato senza alcuna autorizzazione da parte dell’azienda): a seguito del post, il direttore Marketing ha commentato come un utente qualunque facendo i complimenti per la gestione della crisi – praticamente elogiando da solo il suo stesso operato. Gli utenti se ne sono accorti e il commento è stato prontamente eliminato; ma, come si sa, la rete non dimentica.

    È infine di questi giorni il caso Pantene, azienda di prodotti per capelli che ha selezionato come nuova testimonial la nota (e spesso discussa) fashion blogger italiana Chiara Ferragni. Una scelta singolare, accompagnata da un’immagine chiaramente frutto di interventi digitali che, nonostante siano ormai di uso quotidiano nel mondo delle pubblicità, hanno in questo caso alimentato le critiche, scatenando commenti non proprio positivi da parte degli utenti: da chi lamenta la scelta di una persona giudicata non adatta a causa dei suoi veri capelli (neanche lontanamente simili a quelli forti, sani e vaporosi della foto), a chi ricorda come la ragazza sia stata testimonial per Redken, altra nota marca di prodotti per capelli, e come dunque questo passaggio sia quantomeno poco credibile.

    Insomma, quando ci si muove sui social bisogna sempre stare attenti a quelle che possono essere le reazioni degli utenti: a volte, nel tentativo di stupire e di far parlare di sé, si fa il passo più lungo della gamba e si cade in un “fallimento epico”. E se è vero il famoso detto per cui “nel bene o nel male, basta che se ne parli”, in alcuni casi sarebbe sicuramente meglio evitare di intraprendere questa strada.